(Dentro e Fuori l'Avanguardia)
di G. Bonanno
di G. Bonanno
Saggi critici e recensioni su: Kengiro Azuma, Francis Bacon, Paolo Barrile, Carlo Carrà, Marc Chagall, Jean Dubuffet, Franco Francese, Antonio Freiles, Max Huber, Gabriele Jardini, Osvaldo Licini, Ruggero Maggi , Kazimir Malevic, Mattia Moreni, Idetoshi Nagasawa, Emil Nolde, Mimmo Paladino, Pino Pascali, Mario Raciti, Roberto Sanesi, Francesco Somaini, Chaim Soutine, Graham Sutherland, Jorrit Tornquist, Willy Varlin, Wols.
LAUTANIA VIRTUAL VALLEY
“UNIVERSI  POSSIBILI / Verso La Globalità
Intelligente”  
Kurt Schwitters “1887 - KURT MERZ /
ECOLOGY”
Testo critico di Giovanni Bonanno
Lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery, in occasione della 57° Biennale di
Venezia 2017 intende dedicare l’attenzione come evento indipendente e
contemporaneo presso il “Pavilion 
Lautania  Virtual  Valley”,   a due artisti dadaisti
come Kurt Schwitters  e Marcel Duchamp
nati nel 1887, che sintetizzano magnificamente il concetto  d’indagine inteso come il luogo privilegiato
per rilevare i sogni e le utopie che nella dimensione metafisica e mentale
suggeriscono  mondi e immaginari
collettivi.  Una invenzione a tutto campo
giocata su  “universi possibili” tra la libertà della creazione e la globalità
intelligente del fare arte. Lo Spazio Ophen dopo aver dedicato l’attenzione nel 2015, in occasione della precedente
Biennale di Venezia a due artisti giapponesi come Shozo Shimamoto e Ryosuke
Cohen,  “dentro e fuori il corpo”, (The
World's  Futures / Inside and outside the
body), intende ora indagare il lavoro dei 
due artisti  dadaisti e globali  tra “Aperto e Chiuso / Closed and Open” con due 
rispettive mostre a loro dedicate volte
ad approfondire ciò che sottende il processo creativo. Lo studio abitazione dell’artista, nella dimensione creativa,
temporale e spaziale definisce l’estensione
verso l’altro nella  necessità di
metabolizzare e trasformare la  realtà. 
Per questa prima mostra collettiva internazionale dedicata a Schwitters,
in occasione della ricorrenza dei 130 anni dalla nascita  (Hannover, 20 giugno 1887 – Kendal, 8 gennaio
1948),  sono state inviate a diversi
artisti contemporanei  delle postcard con
la foto del primo Merzbau, per intenderci quello di Hannover del 1923 - 1943,
l’assemblaggio nella casa dell’artista, distrutto nel 1943, chiedendo a loro,
nel rispetto del pensiero di arte totale di Schwitters,  un intervento “aggiuntivo” di  ideale condivisione, un  intervento per  “continuare” coscientemente e coerentemente
l’opera di Schwitters,  che essendo “un work
in progress”  non è destinato in
alcun modo ad un possibile e definitivo completamento dell’opera. Del resto, i
tre Merzbau, hanno avuto il triste destino di essere stati o distrutti
(come per esempio quello di Hannover) oppure di  rimanere 
non completati a causa della morte improvvisa dell’artista tedesco. In
questa collettiva internazionale sono presenti 66 opere di altrettanti
importanti artisti  che hanno voluto  condividere 
tale proposta come artisti di frontiera 
a margine  di un  possibile confine e spartiacque al  sistema ufficiale  dell’arte. 
Cos’è Merzbau?  
Kurt Schwitters, protagonista
solitario e isolato del dadaismo tedesco, dopo una breve fase
espressionista e cubista, decise ben presto di abbandonare  i modi tradizionali  di fare pittura per preferire l’utilizzo di
materiali poveri  sotto forma di collage
con oggetti recuperati di ogni tipo. Uno dei suoi  primi collages porta
il titolo di Merzbild (1919), dal frammento della parola (Com)merz che vi compare.  L’opera Das Merzbild del 1919, risulta già un
assemblage con una composizione di vari materiali: fili e maglia metallica con
corde, carta e cartone di vario tipo. Nella parte centrale dell’opera è
presente in modo evidente la scritta “Merz”, ricavata da un’inserzione della
Kommerz - und Privatebank. Quest’opera è andata dispersa dopo essere stata
esposta in modo dispregiativo nella mostra nazista dell’arte e considerata
degenerata. La parola Merz, come quella di “Dada”,  nata casualmente senza alcun significato,
verrà attribuita a tutto diventando la cifra personale di tutta l'attività
successiva dell’artista tedesco. Senza alcun dubbio la sua creazione più nota è
un'installazione intitolata il Merzbau, costruita, con
materiali trovati, detta dallo stesso artista  “Cattedrale della
miseria erotica”, esistita ad Hannover tra il 1923 e
il 1944 prima di essere distrutta dai bombardamenti. All'interno di questa
costruzione ambientale, l'artista 
aggiungeva  sviluppando lentamente
frammenti di cose di recupero trovate. L'opera, intesa come un work in
progress volutamente provvisorio, non si concluse mai. Dopo
il 1945 si stabilì ad Ambleside e, grazie a un finanziamento del
Museum of Modern Art di New York, poté dedicarsi alla realizzazione del
terzo Merzbau, rimasto, dopo il secondo anch’esso incompiuto  a causa della prematura morte dell’artista in
Gran Bretagna nel 1948.
Ecologia e arte totale
Tutto il suo
lavoro ruota sul concetto  di “ecologia e
arte totale” inteso come recupero di oggetti  rimessi nell’ambiente. Hans Richter scrive di
Schwitters: “tutto ciò che era stato gettato via, tutto ciò che amava è
ripristinato  con onore nella vita per
mezzo della sua arte”. Noi
consideriamo “rifiuto” la materia che ha esaurito la sua normale funzione
mentre potrebbe essere  ripresa,
riutilizzata come fonte di una nuova vita, ristrutturata per un nuovo scopo, per
una nuova creazione. Secondo Schwitters, “la
materia può essere trasformata, ma mai rimossa”. Tutto è rifiuto, per cui
le cose devono essere costruite necessariamente utilizzando i frammenti delle
cose trovate, non a caso possiamo parlare di “pensiero ecologico”.Questa
idea  verrà applicata a vari livelli e ad
ogni aspetto del suo lavoro, dal collage alla grafica, dal testo poetico alla
musica. L’opera d'arte rappresenta con lui  la visione essenzialmente ecologica e cosciente
dell’arte e del mondo, con l’urgente bisogno verso il recupero dei materiali
usati che gli altri considerano rifiuti. Alla base di questa insolita poetica
nulla viene scartato ma riutilizzato e rimesso a nuovo uso.  L’opera, quindi, intesa come riuso di oggetti
di rifiuto trovati diventa il fondamento di tutta l’attività dell’artista
tedesco. Per usare la terminologia della cultura popolare e contadina – secondo
noi – “Schwitters usa ogni parte del maiale”, perché del maiale si adopera  tutto e non si deve buttare nulla, neanche le
ossa. Nel Merzbau di Hannover, l’artista 
ha immesso le stesse idee sulle quali si fonda  tutta la produzione dei suoi collage, solo
che diversamente dai collage di carta, lui stesso poteva vivere all'interno
dello spazio, in una sorta di “collage tridimensionale” che conteneva i
quartieri, le grotte e gli angoli nascosti dei ricordi e della memoria. Nel
Merzbau del 1923, come per il territorio di una città, l’artista vi distingueva
diversi quartieri e frazioni con una “cattedrale della miseria erotica”,  la cava dell’omicidio sessuale” in cui era
presente una sorta di corpo femminile fratturato dipinto in rosso, una “grande
grotta dell’amore” e  “una grotta di
Goethe”. Praticamente un insolito labirinto ambientale, con una struttura
costruita nel tempo a recuperare ossessioni oscure e  memorie autobiografiche. 
Rimane l’opera
omnia intesa come zona cupa della mente, di conseguenza, cresce a dismisura come
una  grande città e le cavità, le valli,
le grotte devono avere necessariamente una vita, una struttura propria e un
carattere autonomo; una cavità ospita il tesoro scintillante dei Nibelunghi,
mentre la grotta sex-crimine ha un orrendo cadavere mutilato di una ragazza
sfortunata.  Lo stesso Schwitters descrive la costruzione del
primo Merzbau: “It grows the way a big city does…I run across
something or other that looks to me as though it would be right for the KdeE,
so I pick it up, take it home, and attach it and paint it, always keeping in
mind the rhythm of the whole…As the structure grows bigger and bigger, valleys,
hollows, caves appear, and these lead a life of their own within the over-all
structure…Each of the caves or grottoes takes its character from some principle
component. One holds the glittering treasure of the Nibelungs…and the Goethe
grotto has one of his legs and a lot of pencils worn down to stubs…the
sex-crime cave has one abominable mutilated corpse of an unfortunate girl…an
exhibition of paintings and sculptures by Michelangelo and myself being viewed
by one dog on a leash…a 10% disabled war veteran with his daughter, who has no
head but is still well preserved…”(Schmalenbach,
132-33).
Ognuna delle grotte, quindi,  prende il suo carattere da qualche elemento principale;
integrati all'interno della struttura vi erano i singoli santuari  dedicati a molti amici e autori dadaisti, con
oggetti e frammenti del proprio corpo (una piccola bottiglia di urina, un’unghia,  interruttori rotti, bottoni, biglietti del
tram, etichette colorate di formaggio Camembert, un mozzicone di sigaretta,
bicchieri capovolti e persino una ciocca di capelli), utilizzati allo sviluppo
e alla crescita progressiva dell’installazione ambientale. Con quest’opera non
possiamo più parlare semplicemente di scultura, oppure di arredamento totale
alla maniera delle ambientazioni del Bauhaus o di quelle futuriste. Ormai, l’opera
 deve dilatarsi  oltre il quadro estendendosi in tutto lo
spazio della stanza che lo ospita. Inizialmente l’artista di Hannover incominciò
a occupare lo spazio del suo studio con una prima colonna centrale, aggiungendo
poi anche le altre due costruite con una religiosità laica in maniera estensiva
e casuale. In circa vent’anni di lavoro, questo particolare “environment”
divenne una sorta di autoritratto autobiografico e speculare dei sui pensieri e
dei  contatti sociali con gli altri. Un
diario intimo fatto di immagini, di oggetti e di spazio con una
costruzione  in corso  in fase di definizione. Luogo concreto e
vivibile, dunque,  in cui l’artista
depositava i pensieri e i propri oggetti più cari, le testimonianze più vere
che  gli consentissero di colmare il
vuoto e la distanza tra la vita di ogni giorno e l’arte. La struttura
tridimensionale crebbe in maniera apparentemente disordinata e caotica  carica di particolari richiami  simbolici e affettivi divenendo, di fatto, “l’opera
ecologica e globale di una intera vita” destinata a rappresentare
simbolicamente un sistema olistico, ovvero, una 
particolare concezione totale.  Di
certo, nel  Merzbau vi sono contenuti e accumulati  una 
vasta e svariata gamma di 
allusioni e di archetipi culturali addensati nello spazio a definire un
procedere ciclico e temporale che emula e imita il procedere della vita
cronologica nel suo farsi e disfarsi, con momenti passati sommersi e nascosti
da quelli più recenti, come accade in una naturale crescita geologica o
biologica. L’uso della ricercata
funzione simbolica olistica da parte di Schwitters rende il Merzbau una
occasione appropriata  per riflettere “in
senso ecologico” su una particolare visione del mondo e sull’intero ecosistema
del pensiero umano.          Giovanni 
Bonanno  13 aprile 2017.
 
 
