sabato 13 novembre 2010

LA CRITICA: Mario Raciti

(Dentro e Fuori l'Avanguardia)
di G. Bonanno

Saggi critici e recensioni su: Kengiro Azuma, Francis Bacon, Paolo Barrile, Carlo Carrà, Marc Chagall, Jean Dubuffet, Franco Francese, Antonio Freiles, Max Huber, Gabriele Jardini, Osvaldo Licini, Ruggero Maggi , Kazimir Malevic, Mattia Moreni, Idetoshi Nagasawa, Emil Nolde, Mimmo Paladino, Pino Pascali, Mario Raciti, Roberto Sanesi, Francesco Somaini, Chaim Soutine, Graham Sutherland, Jorrit Tornquist, Willy Varlin, Wols.


-Mario Raciti: Dalle Mitologie ai Misteri
Mario Raciti ritorna a Milano con due personali, rispettivamente, alla Galleria Morone con i lavori del 1983 al 1992 (mitologie), e alla Galleria Spazio Temporaneo con i lavori recenti del 1993/94 (misteri). Sono in mostra gli ultimi 12 anni di lavoro di questo artista che lavora sul crinale impalpabile della figurazione, dove le immagini vivono la dimensione precaria e sospesa dell’apparire, in attesa di una possibile e più concreta definizione. Marco Valsecchi, nel lontano 1978, aveva scritto: Lo spazio bianco in cui avvengono i suoi eventi immaginari, non è un progressivo nullificarsi; al contrario è un drammatico spazio testimoniale in cui il pittore accerta la situazione attuale del pensiero e dell’esistenza ormai sospesi a questo fragile balenare di coscienza e di aspirazioni. Il bianco vale come sudario del vivere e le crepe repentine di una certezza che appena emerge e insolentisce tutti gli schemi delle labili metamorfosi”. Una pittura, ancora oggi, che riesce solo a “darsi come evento” e nel farsi e disfarsi trova il desiderio di svelare i nascosti misteri della nostra esistenza. La pittura di Raciti vive la dimensione favolistica , ma non diventa mai racconto o illustrazione. I suoi segni, sono larve di possibili personaggi, presenze insostanziali che nascono con il destino ingrato di non potersi formare completamente, quasi delle crisalidi che non riescono a crescere e trasformarsi e che non diventeranno mai adulte. Segni che rimangono, quindi, allo stato embrionale, in una messa a fuoco spaziale molto labile. Raciti sa condurre i suoi segni fino al suo limite della concretizzazione per poi, al momento giusto, abbandonarli nel vuoto anemico e profondo del suo spazio, come bisogno urgente di purificare la fragile esistenza che nell’attimo dell’evento riemerge per diventare apparizione ma anche mistero.


Pubblicato su  Dialogo  n°133 - giugno/agosto, 1994  Anno XVII         pag. 25