sabato 13 novembre 2010

LA CRITICA: Idetoshi Nagasawa

(Dentro e Fuori l'Avanguardia)
di G. Bonanno

Saggi critici e recensioni su: Kengiro Azuma, Francis Bacon, Paolo Barrile, Carlo Carrà, Marc Chagall, Jean Dubuffet, Franco Francese, Antonio Freiles, Max Huber, Gabriele Jardini, Osvaldo Licini, Ruggero Maggi , Kazimir Malevic, Mattia Moreni, Idetoshi Nagasawa, Emil Nolde, Mimmo Paladino, Pino Pascali, Mario Raciti, Roberto Sanesi, Francesco Somaini, Chaim Soutine, Graham Sutherland, Jorrit Tornquist, Willy Varlin, Wols.


-Hidetoshi Nagasawa: Tra natura e artificio
E’ la terza volta che Idetoshi Nagasawa espone i suoi lavori alla galleria Valeria Belvedere in via Senato 6 a Milano, dopo quelle del 1988 e del 1990. Era arrivato a Milano alla fine degli anni 60, dopo un avventuroso viaggio in bicicletta attraverso l’Asia e si era stabilito a Sesto San Giovanni. Diversi anni fa, Flaminio Gualdoni, scrivendo per Nagasawa, si lamentava dello sparuto numero di scultori e dell’ancora più scarsa considerazione in cui erano tenuti. Sembra che la situazione sia decisamente cambiata, Nagasawa ora è giustamente apprezzato e occupa un posto di primissimo piano nel panorama dell’arte contemporanea. Lo avevo conosciuto alla Biennale di Venezia del 1982, dove esponeva opere di forte impatto e di grande fascino, come il “Pozzo”,eseguito nel 1981 in bronzo e marmo e la “Barca marmorea” che fa da base ad un salice caprea pendula. Una caratteristica dello scultore Giapponese è di saper facilmente “combinare” i più disparati materiali e farne un’unica cosa e anche di saper rimanere in bilico su nozioni nettamente contraddittorie, come l’equilibrio e lo squilibrio, l’artificiale e il naturale, la simmetria e l’asimmetria che rimangono alla base di tutto il suo lavoro. Nel 1990, Nagasawa, aveva creato tre installazioni occupando, coinvolgendo e “trasformando” le tre stanze della galleria di V.  Belvedere. Lo spettatore veniva risucchiato dentro il reale spazio ambientale e obbligato a reagire alla nuova situazione. Infatti, il pavimento, i soffitti e le distanze dei muri venivano stranamente modificati dall'uso di forme e materiali che definivano nuove coordinate spaziali. Nella stanza più grande della galleria, Nagasawa aveva realizzato l’opera “Lampo”, con quattro tronchi di legno che stavano magicamente sospesi e che creavano un equilibrio precario di forme in tensione nello spazio;  forme “pesanti” che si sentivano senza gravità. Il lavoro esposto alla galleria Belvedere va ricondotto a queste ultime ricerche precedenti, dove c’è l’insistente tentativo di annullare la forza di gravità utilizzando il reale peso dei materiali adoperati e facendo sentire le forme “leggere” quasi come delle piume, inoltre, creare uno stato di precario “artificio” che diventa in definitiva reale disagio, ma anche struggente apparizione.

Pubblicato su  Dialogo  n° 122  - maggio/giugno,  19922000  Anno XV         pag. 22