sabato 13 novembre 2010

LA CRITICA: Osvaldo Licini

(Dentro e Fuori l'Avanguardia)
di G. Bonanno

Saggi critici e recensioni su: Kengiro Azuma, Francis Bacon, Paolo Barrile, Carlo Carrà, Marc Chagall, Jean Dubuffet, Franco Francese, Antonio Freiles, Max Huber, Gabriele Jardini, Osvaldo Licini, Ruggero Maggi , Kazimir Malevic, Mattia Moreni, Idetoshi Nagasawa, Emil Nolde, Mimmo Paladino, Pino Pascali, Mario Raciti, Roberto Sanesi, Francesco Somaini, Chaim Soutine, Graham Sutherland, Jorrit Tornquist, Willy Varlin, Wols.




Osvaldo Licini: Un pittore tra gli angeli ribelli

Si conclusa il 28 febbraio alla Casa Rusca di Locarno la mostra antologica dedicata a Osvaldo Licini. L’artista era nato a Monte Vidon Corrado nel 1894. Dopo i primi ritratti giovanili e un viaggio a Parigi, inizia a confrontarsi con le ricerche che si svolgevano in quel periodo in Europa. Verso il 1919 incominciano ad emergere i primi accenni della sua poetica fantastica. (Arcangelo Gabriele, 1919). Nel 1930 tenta di allontanarsi definitivamente da un certo naturalismo per passare ad una sorta di astrattismo lirico ( Il bilico 1934, Uccello 1936), e verso una spiritualità “irreale” che viene definita nelle opere ultime del dopoguerra. Licini, senza dubbio, è uno dei protagonisti più appartati e interessanti della storia della pittura moderna Italiana, sicuramente uno dei pochi autentici ricercatori di statura europea. A Milano, nel 1935, aveva tenuto la prima personale presso la galleria il Milione. In quell’occasione dichiarava: “fino a 4 anni fa ho fatto tutto quello che ho potuto per fare della buona pittura dipingendo dal vero, poi ho cominciato a dubitare. Dubitare non è una debolezza, ma è un lavoro di forza. E mi sono convinto che facevo della pittura in ritardo, contraria alla sua vera natura, che non è imitazione. La pittura è l’arte dei colori e delle forme, liberamente concepita....un’arte irrazionale, con predominio di fantasia e immaginazione, cioè poesia. Allora ho preso 200 buoni quadri che ho dipinto dal vero e li ho portati in soffitta. E ....i miei quadri me li sono cominciati a inventare”. Tra il 30 e il 40, per un certo periodo si ritrova a far parte del gruppo degli astrattisti Milanesi del Milione. L’artista, in quel periodo, non è intenzionato a percorrere le vie del costruttivismo astratto, piuttosto, tenta di far collimare il geometrismo razionale di Kandinskij e di Mondrian con il mondo sognato e immaginario di Matisse e di P. Klee. Secondo C. G. Argan, l’ artista “Europeo” a cui si è sentito più vicino è stato Klee; ma quella che in Klee è una malinconia metafisica diventa in Licini una melanconia storica. Pochi pittori del nostro tempo, nella finitezza assoluta delle opere, ci comunicano il senso dell’infinitezza, approdano ad un’indeterminata e indefinita realtà che si scioglie in impalpabili apparizioni sfuggenti e portatori di oscuri presagi. Essi rivelano un’esistenza precaria tra l’apparizione e il capriccio, tra l’ossessione e il delirio, in uno spazio anemico, dove l’enigma e il sortilegio sono gli elementi da svelare. Dentro questa nuova e inquieta dimensione lirica sta il segno della sua straordinaria visione poetica. Artista solitario e lucido, riflessivo e ironico, riesce a approfondire il meglio della pittura contemporanea del suo periodo storico nella  severità e nella pazienza artigianale del lavoro; sei anni prima di morire confessava: "sono dell'opinione che in arte, non sono le etichette, le correnti, le chiacchiere quelle che contano, ma solo i fatti, i risultati  e questi fatti, questi risultati, io li riconosco validi e perfettamente realizzati in poesia". dichiarazione certamente profetica e attuale, che ci fa riflettere sulla situazione confusa, monotona e frivola dei nostri giorni.


Pubblicato su  Dialogo  n° 126  - gennaio/febbraio,  1993  Anno XVI       pag. 23-24