sabato 13 novembre 2010

LA CRITICA: Chaim Soutine

(Dentro e Fuori l'Avanguardia)
di G. Bonanno

Saggi critici e recensioni su: Kengiro Azuma, Francis Bacon, Paolo Barrile, Carlo Carrà, Marc Chagall, Jean Dubuffet, Franco Francese, Antonio Freiles, Max Huber, Gabriele Jardini, Osvaldo Licini, Ruggero Maggi , Kazimir Malevic, Mattia Moreni, Idetoshi Nagasawa, Emil Nolde, Mimmo Paladino, Pino Pascali, Mario Raciti, Roberto Sanesi, Francesco Somaini, Chaim Soutine, Graham Sutherland, Jorrit Tornquist, Willy Varlin, Wols.




-Chaim Soutine: I colori della desolazione
Dopo Emil Nolde, Willy Varlin e Francis Bacon, Lugano rende omaggio ad un altro dissidente e anarchico dell’arte contemporanea: Chaim Soutine. L’artista lituano è stato un autentico visionario di classe, disposto a mettersi in gioco in qualsiasi modo pur di dare corpo al proprio disagio e svelare l’intima e sofferta visione che ha dell’uomo. Nonostante abbia condiviso alcune esperienze di ricerca francesi, non ha voluto aderire ad alcuna corrente dell’arte contemporanea di quel tempo, forse per il suo sviscerato individualismo identico a qualche altro artista di Montparnasse. Infatti, le sue prime esperienze artistiche si svolgono alla Rouche, a contatto con alcuni giovani artisti cui condivideva la bohéme e il voluto isolamento creativo. Era nato a Smilovitchi, nel 1893, in un povero villaggio della Lituania. Di famiglia molto numerosa; era il decimo di undici fratelli, dopo aver soggiornato a Minsk (Bielorussia) come apprendista in una sartoria e aver frequentato tre anni all’Accademia di Belle Arti a Vilna, nel 1913, si trasferisce a Parigi. Di colpo si trova proiettato nella mitica Rouche, alloggiato in un caseggiato fatiscente occupato da giovani artisti affamati. Proprio alla Rouche, luogo in cui ”si crepa o si diventa famosi” (Chagall), conosce i suoi compagni di avventura: Archipenko, Zadkine, Chagall, Laurens, e poi, nel 1915 anche il nostro Amedeo Modigliani. Sebbene si confronti con 1e esperienze della vanguardia parigina, già sembra attratto e affascinato dal lavoro di alcuni artisti del passato studiati al Louvre; in particolare di Rembrandt oltre che di Courbet. Nel 1915, il suo amico A. Modigliani, ancora sconosciuto e disperato, lo presenta a Leopold Zborowski, collezionista di alcuni pittori indipendenti di Montparnasse. In questi primi anni di lavoro l’artista dipinge una serie di nature morte e alcuni ritratti di un certo interesse. Nel 1918, Parigi viene bombardata dai tedeschi, Soutine, grazie all’amico Zborowski si rifugia prima a Cagnes-sur-Mer e poi, nel 1919, a Ceret, dove vi soggiorna fino al 1922. Il periodo breve ma intenso di Ceret ci rivela un artista eccezionale di grande talento. Dopo i paesaggi terribilmente sconquassati da una furia distruttrice, ben presto nascono gli inquieti e insoliti ritratti, come il “Piccolo pasticciere” e la “Desolazione” del 1921, che lo renderanno famoso. Benché abbia consolidato un certo successo a livello economico e culturale, l’artista lituano sente l’urgenza di accentuare la violenza espressiva del colore; dal 1922, incomincia a dipingere con chiaro riferimento a Rembrandt, carcasse sventrate di animali “Il bue scuoiato”, del 1925 e il “Gallo morto”, del 1926). Infine, durante gli anni oscuri della guerra, Soutine è ancora capace di qualche altro morso creativo, come nella tragica e struggente “Maternità”,del 1942, che conclude prematuramente il suo percorso artistico nel 1943, (l’artista viene ricoverato per un intervento chirurgico allo stomaco a cui non riesce a sopravvivere). Dopo la sua morte solo pochi artisti come Scipione, gli artisti del gruppo Cobra, De Kooning e soprattutto Bacon e Varlin sono in grado di comprendere appieno il grande ruolo giocato da “l’enfant terribile” di Montparnasse. Ma chi era veramente Soutine? Era un ragazzone con un viso pesante e carnoso con un’abbondante capigliatura morbida. Negli anni di vita trascorsi a Montparnasse, si racconta che non fu visto ridere mai. In un romanzo dedicato a Modigliani, Clemente Fusero lo descrive così: ”C’era nella sua fisionomia qualcosa di infantile e di brutale al tempo stesso. ‘Tutto, in lui, dava l’impressione di una forza fisica, di una capacità morale di violenza che, scatenate, avrebbero frantumato qualunque ostacolo. Ma Soutine pareva inconsapevole della carica enorme di forza che portava in se. Questa forza gli ristagnava dentro. Chaim Soutine, venuto dal ghetto di Vilna, sembra nascondere nel suo cuore di fanciullo tutta la tragedia d’una razza e tutta una oscura storia di generazioni umiliate e tormentate”. Proprio così, la sua forza si addensava dentro i suoi pensieri e molto spesso si trasformava in ossessione e tormento. Un personaggio decisamente angosciato e solitario, carico di una energia mostruosa ma nello stesso tempo smarrito e deluso. Alla base del suo pessimismo vi è la triste condizione di ebreo sentita come una punizione. Di certo, la sua sofferenza nasce dalla riflessione sui diseredati che vengono costretti all’isolamento e all’umiliazione sociale. Tutto ciò è vissuto da Soutine, come sofferto travaglio partecipativo, e nel contempo come gesto catartico. Per R. Sanesi “l’energia deformante che investe i ritratti è il segno di una estrema capacità di indagine psicologica, ma anche l’indizio di una pietosa e quasi orgogliosa partecipazione.”. Soutine incarna’l’angelo ribelle e sacrificale de l’Ecole de Paris, che con struggente partecipazione si fa carico della sofferenza dell’umanità e anche delle miserie della vita. Chaim, di certo, sa utilizzare la sua angoscia per stravolgere e sgretolare ciò che trova davanti; il suo compito ingrato è quello di svelarci la sua tragica e sofferta realtà carica di troppe essenze e urgenze interiori. La sua furia implacabile deforma e modella i precari equilibri per evidenziare dalla materia vibrante qualche parvenza umana. Il colore è sentito come bava incandescente che si deposita sulla tela in un accumulo apparentemente caotico e convulso degli impasti cromatici. Soutine sa come fare per mettere a nudo il suo travaglio interiore, conosce perfettamente gli anfratti della sua esasperazione e anche il modo per svelarli. Ormai, non condivide la pittura come progetto, bensì come atto liberatorio. Secondo Franco Passoni, “c’è in questo artista una violenza rabbiosa contro il grandioso che gli scompiglia il disegno, gli svuota le forme delle strutture archetipe e gli squilibra il più elementare ordinamento a tutto vantaggio del colore e della materia pittorica”. Un colore, che nonostante la densità degli impasti cromatici, proprio per eccesso di fisicità, sembra depurarsi e sublimarsi. In fondo1opera di Soutine porta i segni del travaglio e della macerazione, espressa con forme deformate di materia greve e con impasti di colore mucoso che si imputridisce e si raggela dentro la brace purificatrice del suo stesso malessere esistenziale.

Pubblicato su  Dialogo  n°138 - settembre/ottobre, 1995  Anno XVIII         pag. 25