sabato 13 novembre 2010

LA CRITICA: Franco Francese

(Dentro e Fuori l'Avanguardia)
di G. Bonanno

Saggi critici e recensioni su: Kengiro Azuma, Francis Bacon, Paolo Barrile, Carlo Carrà, Marc Chagall, Jean Dubuffet, Franco Francese, Antonio Freiles, Max Huber, Gabriele Jardini, Osvaldo Licini, Ruggero Maggi , Kazimir Malevic, Mattia Moreni, Idetoshi Nagasawa, Emil Nolde, Mimmo Paladino, Pino Pascali, Mario Raciti, Roberto Sanesi, Francesco Somaini, Chaim Soutine, Graham Sutherland, Jorrit Tornquist, Willy Varlin, Wols.




-Franco Francese: Lo spazio della coscienza
Da un pò di tempo a questa parte la critica specialistica - come afferma giustamente Francesco Porzio - preferisce interessarsi a ipotetiche linee di sviluppo privilegiate, dimenticando che nell’arte l’idea di progresso è opposta a quella di libertà e che quindi, le opere d’arte non possono essere ridotte entro categorie astratte di valori. In questo senso, Franco Francese è un caso atipico nel panorama contemporaneo dell’arte italiana proprio perchè intende vivere la sua avventura artistica da autentico solitario, non partecipando a nessun gruppo di ricerca e rimanendo al di fuori di qualsiasi polemica. Come abbiamo sottolineato varie volte, qualsiasi percorso artistico di un certo spessore culturale deve sostenersi su intrecci di linee ellittiche che si arricchiscono di continui apporti culturali, al di là dei riscontri linguistici immediati e occasionali. Purtroppo oggi le ricerche si evolvono su provvisori e improvvisati itinerari pseudo-culturali, che hanno ben poco a che vedere con I ‘autentica ricerca creativa. Proprio per questo motivo, Francese si è sempre più isolato man mano che le sue scelte si sono fatte più origina1i e personali, con le ovvie e continue difficoltà di classificazione e d’inserimento nei panorama dell’arte contemporanea italiana. Anche quando partecipò per un breve lasso di tempo al dibattito di Corrente e, più tardi alla questione del realismo, non si concesse a nessuna causa, piuttosto preferì ritirarsi , per un momento, nella sua amata campagna vercellese a meditare e a scandagliare gli anfratti dei suoi inquieti pensieri. L’atto creativo non è solo dipingere : è essenzialmente momento di riflessione e approfondimento di una idea, spesso ossessiva, che viene definita nell’opera compiuta. Questo modo di scandagliare la realtà, per Francese è molto importante e ciò spiega il progressivo isolamento rispetto ai diversi gruppi di ricerca che di volta in volta sono stati prospettati a Milano in questi ultimi 50 anni. L’artista milanese ha incominciato giovanissimo ad interessarsi ai fantasmi di Goya, a Daumier e, soprattutto, a Sironi; quello delle piccole tempere dai colori calcinosi e stratificati. In Francese, fin dagli esordi, la dimensione immaginativa assume un ruolo prioritario rispetto alle polemiche e alle trovate collettive. Nascono così i primi fantasmi, a metà strada tra l’animale e l’uomo, come “Bestiario” del 44 o “ Mostro notturno” del 46. Per Francese l’immagine non può essere descritta ma deve scaturire di inquiete associazioni visive e da profondi mutamenti mentali. Nel ‘46 -47 crea i “Crocifissi nella stanza”, prima della svolta importante con la scelta dei temi contadini poco retorici rispetto alle soluzioni proposte dagli artisti dell’area di sinistra; temi che si sviluppano fino alla crisi del 56- 57. Tuttavia, dal 1948 fino al 1951 anche lui rimane suggestionato da forme cubisteggianti (“Bucranio e coltello”del 1948, “Ettore entra dal giardino” del 1949)meno congeniali al suo temperamento romantico. In quel periodo -afferma T. Sauvage (A. Schwarz)- “le posizioni erano pressoché identiche: tutti dipingevano alla maniera post-cubista del Picasso di Guernica”. Verso il 60 l’artista cerca di trovare altre soluzioni, destrutturando violentemente la tridimensionalità delle immagini;sono di questo periodo le opere come “Enea e il diavolo”, “Teste”, “La bestia addosso”, “L’uccello batte sul vetro”, in cui ci svela come si possano rappresentare le pulsioni psichiche. Proprio nel ‘60 viene presentato da F. Arcangeli alla Biennale di Venezia; è il primo vero riconoscimento per il lavoro svolto da Francese nei campo dell’arte, tuttavia verrà accusato dal Del Guercio “ di non occuparsi abbastanza de mali esistenti nella organizzazione del mondo moderno”. Dopo il 64, con la celebrazione della Pop Art americana tutta l’arte (anche quella italiana) sembra appiattirsi alle novità massificate delle ultime trovate artistiche; Francese si trova sempre più solo. Ormai, l’artista ha bisogno di definire il suo immaginario secondo urgenze interiori, di comunicare in modo alquanto complesso, suggerendo diversi gradi stratificati di significato. Le immagini si generano dal profondo e si organizzano in base a pulsioni soggettive che trascendono i dati consueti del reale. Non si tratta di eventi descrittivi e neanche di evocazioni oniriche. Sono presenze inconsuete che nascono dal profondo della coscienza e si collocano nel flusso provvisorio dell’evento. Le opere dell’artista milanese ci parlano dell’aggressione, dello sdoppiamento che si materializza nel lento affiorare di indefinite stratificazioni di materia pittorica. L’artista, ogni volta che riprende un tema sembra volere registrare le variazioni e definire le diverse soluzioni. I temi affrontati in 50 anni di pittura sono una ventina in tutto: malinconie, convalescenze, riflessioni lucide sulla morte, ipotetici viaggi, tramonti, notti stellate e anche pause notturne. Di certo, Francese vive nel pieno di una figurazione allusiva e inquieta, che lo porta a rappresentare continuamente l’angoscia, la morte e le miserie dell’uomo di oggi; già nel 46, con quel teschio sul tavolo di crocifissione nella stanza, attraverso un forte pessimismo nei confronti della vita, si era interessato a trattare la tragicità e la fragilità dell’uomo. Non posso non pensare a un grande scrittore di questo dopoguerra come Friedrich Durrenmatt che ha riflettuto intensamente sul significato della vita e di ciò che comunemente chiamiamo morte. Secondo Durrenmatt l’uomo contemporaneo è prigioniero del proprio labirinto; non è in grado di fare dei progetti. Il labirinto è essenzialmente un fatto esistenziale che coincide con la morte. Il letterato svizzero vede l’umanità sempre più biologicamente malata, con l’uomo ch’è costretto ripetutamente a sbagliare e a perdersi. Certamente la frattura fra il come l’uomo vive e il come potrebbe vivere diventa sempre più ridicola. Nel corso brevissimo della sua esistenza non si pone nessun interrogativo. L’uomo non è un essere responsabile; quasi sempre cerca di sviare i problemi illudendosi di vivere. Credo che sia l’unico essere “conscio” della sua finitezza, ma si comporta come se non lo sapesse. Di certo la “paura della morte” lo ha sempre condizionato pesantemente, per tranquillizzarsi un paio di millenni fa, ha inventato l’aldilà e ha creato la cultura come baluardo per difendersi dalla morte. Tutta la nostra cultura è una specie di edificio che si oppone alla morte. Francese è ossessionato dal senso del sonno, dallo scorrere del tempo e anche della morte. L’artista non procede per cicli come fanno tanti altri pittori. Il suo lavoro nasce da un ricordo o da una sensazione immediata,. Spesso ritorna più volte sullo stesso tema anche a distanza di molti anni. Francese è anche uno dei pochi artisti contemporanei italiani che può definire il suo percorso artistico (più di mezzo secolo) soltanto attraverso la sua produzione grafica. Non si tratta di semplici appunti preparatori in vista dell’opera, ma lavori conclusi e definiti. Anzi, ci sembra che la produzione grafica e pittorica di piccola dimensione sia la vera e autentica ricerca di Francese, molto più interessante delle opere di grande formato. Forse perchè nel piccolo formato l’artista riesce a condensare nell’immediatezza del gesto pittorico e grafico la sua poetica fatta di piccoli brividi e di fugaci apparizioni. Francesco Porzio, nella presentazione in catalogo per l’antologica di Francese a Mendrisio, indaffarato a tentare una rivalutazione dell’artista, polemizza ingiustamente con Testori, che - secondo noi - aveva visto giusto quando faceva intendere che la pittura aggiungeva poco al disegno di Francese. E’ vero, i suoi quadri non sono semplici copie e ingrandimenti di soluzioni già compiute nel disegno, ma neanche suggestive e felici novità. Ciò spiega perchè un disegno di piccola dimensione è valutato a livello di mercato quasi quanto un olio di medie dimensioni. Porzio per giustificare il suo fragile assunto afferma che i disegni dell’artista milanese non sono mai degli studi preparatori nel senso tradizionale del termine, confessando ingenuamente,”possono precedere il quadro, ma anche non presupporlo neppure”. Per un artista creativo come Franco Francese che da tanta importanza all’emotività e agli oscuri riflessi della coscienza, il disegno risulta quanto mai basilare. E’ proprio nel disegno ”nel piccolo spazio bianco dell‘anima che si interiorizzano le sofferte sollecitazioni e le incantate interferenze della coscienza .

Pubblicato su  Dialogo  n°139 - novembre/dicembre, 1995  Anno XVIII         pag. 24-25