sabato 13 novembre 2010

LA CRITICA: Kazimir Malevic

(Dentro e Fuori l'Avanguardia)
di G. Bonanno

Saggi critici e recensioni su: Kengiro Azuma, Francis Bacon, Paolo Barrile, Carlo Carrà, Marc Chagall, Jean Dubuffet, Franco Francese, Antonio Freiles, Max Huber, Gabriele Jardini, Osvaldo Licini, Ruggero Maggi , Kazimir Malevic, Mattia Moreni, Idetoshi Nagasawa, Emil Nolde, Mimmo Paladino, Pino Pascali, Mario Raciti, Roberto Sanesi, Francesco Somaini, Chaim Soutine, Graham Sutherland, Jorrit Tornquist, Willy Varlin, Wols.



-Kazimir Malevic:  La pittura e il buio.
Si apre a Milano una interessantissima mostra su Kazimir Malevic, uno degli artisti più importanti dell’avanguardia russa. Le opere provengono dal Museo di Stato di San Pietroburgo, sono state esposte precedentemente a Firenze e rimarranno a Palazzo Reale fino al 30 gennaio. Questa mostra non è una mostra antologica di tutto il lavoro di Malevic, ma una scelta di opere che l’artista conservava gelosamente nel suo studio. L’esposizione inizia dando una visione generale della pittura del primo decennio in Francia, con opere soprattutto di Cezanne, Picasso, Matisse e Derain. Nato nel 1878 a Kiev da un fattore russo di origine polacca, dopo un primo periodo di lavoro postimpressionista, Kazimir aderisce al Neoprimitivismo di Larianov, della Goncarova e di Tatlin, dipingendo scene di lavoro nei campi con una rappresentazione quasi stilizzata della realtà. Con l’opera “Rosa Cubista” del 1912, di chiara impostazione cubista e futurista si avverte un interesse verso la distribuzione dinamica degli elementi rappresentati in diagonale; non esiste più la rappresentazione oggettiva del mondo ma la visione scomposta e “deformata” della realtà, una realtà dove il concetto tradizionale di tempo e spazio viene frantumato e semplificato. A Parigi, a contatto con le esperienze artistiche di quel periodo (Cubismo, Fauveau e Futurismo), Malevic capisce che l’arte può essere non la visione “ripetuta” del mondo ma la costruzione “trasformata” e ridotta in sequenze logiche, una riduzione smembrata dell’immagine che si frantuma in tanti fragili pezzi (1913). Nonostante l’interessante lavoro di ricerca di questo periodo, Malevic non è ancora completamente soddisfatto dei risultati acquisiti; lo sarà verso il 1914/15 quando riuscirà a mettere a fuoco la sua teoria “Suprematista” approdando a sviluppi di lavoro sicuramente più avanzati tra le tendenze sperimentali. Cazimir era convinto che l’arte non doveva essere il riporto passivo o fotografico dell’oggetto, ma doveva tendere all’essenza più intima e mentale, verso una riduzione minimale a grado zero. Infatti, alla rappresentazione trasformata dei lavori precedenti,contrappone, ora, la contemplazione dell’assoluto, di un essere attratto dagli eventi cosmici della natura. Per C.G. Argan, “Malevic nega tanto l’utilità sociale quanta la pura esteriorità dell’arte poiché la conoscenza della realtà attraverso le cose è relativa e parziale”, bisogna tendere alla conoscenza del mondo come “non oggettivo” e quindi, ad una concezione pura e assoluta che rifiuti la rappresentazione tradizionale e prediliga, la riduzione strutturale del linguaggio a segno mentale, capace di definire “sinteticamente” l’esistenza e il mondo. I dipinti esposti in questa mostra sono quelli che l’artista russo realizzò negli anni più dolorosi della sua vita. Opere come “quadrato nero su fondo bianco”, il “tondo nero su fondo bianco” e la “croce nera su fondo bianco” sono gli ultimi lavori di ricerca, sicuramente i più interessanti. Dopo questo approdo radicale l’artista viene imprigionato nel 1930 per le sue idee rivoluzionarie e sovversive. Tornato in semi-libertà è costretto per cinque lunghi anni a condurre un’esistenza precaria e a piegarsi definitivamente ai dettami della dittatura russa, ritornando ad una figurazione di tipo realista, con immagini e ritratti ispirati alla pittura Rinascimentale Italiana. Una pittura ormai “anestetizzata” che non ritrova più la luce dei periodi precedenti, ma si incarna nel buio tragico dell’esistenza; un buio nero che è capace di annientare perfino il desiderio, svuotare la speranza e soprattutto “la voglia di vivere” (Leningrado 1935).

Pubblicato su  Dialogo  n° 130  - novembre/dicembre,  1993    Anno XVI         pag. 24