sabato 13 novembre 2010

LA CRITICA: Wols

(Dentro e Fuori l'Avanguardia)
di G. Bonanno

Saggi critici e recensioni su: Kengiro Azuma, Francis Bacon, Paolo Barrile, Carlo Carrà, Marc Chagall, Jean Dubuffet, Franco Francese, Antonio Freiles, Max Huber, Gabriele Jardini, Osvaldo Licini, Ruggero Maggi , Kazimir Malevic, Mattia Moreni, Idetoshi Nagasawa, Emil Nolde, Mimmo Paladino, Pino Pascali, Mario Raciti, Roberto Sanesi, Francesco Somaini, Chaim Soutine, Graham Sutherland, Jorrit Tornquist, Willy Varlin, Wols.




Wols: La pittura tra sogno, segno e malessere

Si è conclusa alla Galleria Blu di Via Senato 18 a Milano, una interessante mostra dedicata a Wols, con opere del 1938 al 1949. Wols, pseudonimo di Wolfang Schulze, nacque a Berlino nel 1913, trascorse la sua fanciullezza a Dresda dove entrò in contatto, seppur per un breve periodo, con gli artisti della Bauhaus. Nel 1932 decise di trasferirsi a Parigi. A contatto con le nuove ricerche surrealiste di A. Breton incominciò a definire il suo lavoro di ricerca. Fino al 1946 dipinse esclusivamente acquerelli di piccolo formato come quelli esposti in questa mostra (Deux sous le baldaquin rayè del 1938, le “Deux tetes” o la “Citè” del 1943). Oramai non è facile vedere tanti pezzi di Wols in una sola mostra; la produzione di questo artista risulta assai limitata proprio perchè visse una vita molto breve (morì alcolizzato all’età di 38 anni) e solo negli ultimi 5 anni riuscì a lavorare costantemente realizzando circa cento lavori a olio. Wols, risulta interessante perchè recupera il segno incisivo di Klee e per l’inconsueta capacità di sintetizzare l’immagine in senso fantastico. Nel suo lavoro,tuttavia, non vi è traccia di alcun “automatismo” di stampo surrealista come qualcuno vuoi sostenere. Vi è l’interesse continuo ad ossigenarsi dentro l’apparente flusso caotico delle immagini, per poi “decantarle sinteticamente grazie all’utilizzo di una tecnica immediata e veloce com’ è l’acquerello e la china. Nelle opere di qualche anno dopo, sembra che l’artista tedesco abbia la necessità di “frantumare” le ricerche favolistiche precedenti e indirizzarsi verso una situazione più fluida e informe, sfilacciando il sogno che diventa così molto impalpabile. Si può notare tutto ciò nell’opera “Ciel Sombre” del 1946 o nella “Composition in Hellgrun-Rot” del 1947-48. Dopo la fine della 2a guerra mondiale qualcosa non funziona più come prima, la delusione e il malessere prendono il posto del sogno e della favola. L’artista sembra attanagliato da una profonda voglia di creare; è il periodo in cui le città e i velieri immaginari popolati da strani esseri filiformi, vengono assorbiti e ricacciati dentro il magma della materia. Nell’intensa stagione pittorica tra il 46 e il 51 (anno della morte) sposta l’interesse dal piccolo formato degli acquerelli precedenti alla creazione di grandi tele ricoperte di chiazze di colore e di esili segni. Wols, non può considerarsi semplicemente un artista informale non cè in lui nessuna dissoluzione della forma. La sua pittura non condivide l’informale come ‘balbettio”, ma come strumento utile di conoscenza, come afferma giustamente G. Dorfles: “trova in Wols una ragion d’essere assai più profonda: quella di scomporre la materia, di distruggere il segno appunto per poter ritrovare un segno più genuino, una materia più idonea alla strutturazione di un’arte ancora in divenire”. Quindi evento poetico che si macera e si rigenera dentro le piaghe della materia al fine di “ridefinire” una possibile altra forma. Il segno, nelle ultime opere diventa l’unico strumento per scandagliare “il malessere dell’esistenza”; non più frammenti di cose sognate, ma brandelli di materia solcata da tratti di segno che definiscono una situazione precaria dove lo sconforto si tramuta in groviglio e anche in prigione.

Pubblicato su Dialogo  n°134 - settembre/ottobre,  1994  Anno XVII         pag. 24