sabato 13 novembre 2010

LA CRITICA: Willy Varlin

(Dentro e Fuori l'Avanguardia)
di G. Bonanno

Saggi critici e recensioni su: Kengiro Azuma, Francis Bacon, Paolo Barrile, Carlo Carrà, Marc Chagall, Jean Dubuffet, Franco Francese, Antonio Freiles, Max Huber, Gabriele Jardini, Osvaldo Licini, Ruggero Maggi , Kazimir Malevic, Mattia Moreni, Idetoshi Nagasawa, Emil Nolde, Mimmo Paladino, Pino Pascali, Mario Raciti, Roberto Sanesi, Francesco Somaini, Chaim Soutine, Graham Sutherland, Jorrit Tornquist, Willy Varlin, Wols.



-Willy Varlin: “L’ultimo ribelle”
Capita sempre più, di rado visitare una mostra di notevole interesse come quella di Varlin che vedremo dal 10 maggio al 19 luglio alla Villa Malpensata di Lugano’. Con questa importante retrospettiva la Svizzera onora un figlio solitario che aveva creduto di perdere. Willy Guggenheim, iu arte Varlin, era nato a Zurigo il 16 marzo del 1900, aveva vissuto a Parigi per circa trent’anni, nel 1963 s’era trasferito definitivamente in una baita di un villaggio grigionese, Bondo, in Vai Bregaglia, dove rimase fino alla morte (30 Ottobre 1977). Artista solitario, distante dalle lusinghe mercantili,visse gli ultimi anni della sua vita pressoché nei silenzio, da perfetto sconosciuto. Nonostante le diverse mostre avutosi grazie all’interessamento “amorevole” di. Giovanni Testori, di Max Frisch e di. Friedrich Durrenmatt che si erano adoperati, affinchè l’artista Svizzero ottenesse quei riconoscimenti che gli spettavano. Villy è ancora poco conosciuto al grande pubblico dei non addetti ai lavori, proprio perché i suoi guizzi creativi, le sue invenzioni sempre nuove e originali, non hanno facilitato la conoscenza del1’artista. Il pittore Svizzero non amava “ripetersi”( ripetizione intesa come limitazione o involuzione creativa non poteva contare soltanto su una cifra di riconoscimento, sapeva che doveva proseguire nel suo viaggio solitario. Così ha continuato “imperterrito” a dipingere, aiutato da pochi amici, per poi, al primo tremore, disperdersi dentro la nebbia della sua amata Bondo. Sicuramente, Varlin è uno dei casi più emblematici di artista disconosciuto e non compreso. Raffaele De Grada si chiede: come mai certi artisti (per la verità pochi), riescono a resistere ai richiami dell’effimero e delle mode e a produrre opere tanto affascinanti e durevoli da determinare da questi luoghi separati il corso dell’arte per un lungo periodo, forse per sempre, mentre altri artisti che sembrano “centrali” al sistema dell’arte, col tempo si ritrovano in periferia, da non essere più riconsiderati. Inoltre, si crede, che gli artisti danno il meglio di se quando sono ancora giovani, con la vecchiaia, spesso, si ripetono come in una sorta di manierismo personale. A Varlin, questo non è accaduto, anzi, proprio negli ultimi anni era riuscito a dipingere i suoi quadri più belli e interessanti, accomunando le esperienze precedenti e consolidandoli in un “unicum”, in una poetica di grande spessore e di inaspettata vitalità. Willy aveva vissuto da “autentico ribelle” a contatto con la natura pura che gli permetteva di ossigenarsi di vera creatività; a volte esplosiva, dove il brivido dell’invenzione suggeriva lavori di grande emozione, come nel nudo sdraiato sul letto di ferro o l’apparizione di un volto dal ghigno ironico e beffardo. Effettivamente, quest’arte non soddisfa le categorie del piacere disinteressato; Varlin da fastidio, perchè è imprevedibile e inclassificabile, sempre al limite di uno stile, con la deformazione e la carica psicologica che cambia “ripetutamente” la pelle alle cose. Tanti vorrebbero ignorarlo, non possono. Scrive G. Testori: Tu sei stato uno degli ultimi che hanno giocato la partita della vita come era sempre accaduto ai grandi ribelli,veri ribelli;e come non accade più ai falsi e indecenti pseudo ribelli. Il pittore Svizzero si pone di fronte al reale da “eremita”, con lo scopo essenziale di riabilitare tutto ciò che la nostra società ritiene relitto o reietto. Un eremita ribelle, che prova a far conoscere la triste condizione dell’uomo contemporaneo; di un uomo che ha perso “l’eroicità” e si trova a vagare in condizione di perenne disagio,senza punti di riferimento certi, senza una destinazione possibile. Uno strano mondo quello creato da Varlin, con i ritratti e i personaggi disfatti, con i corpi terribilmente stravolti e tormentati; come nella bellissima opera “Nudo di Leni” del 1975, dove il martirio sembra che abbia preso definitivamente possesso della povera carne maledettamente corrotta, che la luce fredda e vivida di Bondo trasforma e disintegra in polvere. Uno strano sortilegio che diventa brivido,vertigine e fugace apparizione.

Pubblicato su  Dialogo  n°122 - maggio/giugno,  1992   Anno XV         pag. 23