giovedì 18 novembre 2010

Il DIBATTITO: DENTRO E FUORI L'AVANGUARDIA



SIGNOR CRITICO  POSSO CRITICARE?
(La critica d'arte, dentro e fuori l'avanguardia)
di Giovanni Bonanno


-  L’Arte tra utopia e regressione

Siamo alla fine di un altro millennio; è tempo di bilanci e di rilanci, di accuse e di autoaccuse, come è il caso di un noto gallerista milanese, che finalmente si confessa: “Abbiamo voluto che la critica svolgesse un ruolo esclusivamente laudativo ed esaltativo e per questo l’abbiamo costretta ad inventarsi un linguaggio ridicolo, incomprensibile ai più, privo di significato e di didattica. Abbiamo venduto cose strane, alle quali spesso non credevamo nemmeno noi, ma nelle quali dicevamo fingere di credere per timore di passare per deficienti agli occhi di chi stava in estasi davanti al genio dell’artista” L’avanguardia sembra che sia finita, degenerata, ridotta ad una sequenza banale di oggetti di inutile valore culturale, ad una farsa alla grande a livello planetario. In questi ultimi decenni, più che di utopia si parla di regressione, di ripetizione in/differente, dell‘ignoranza programmata e commercializzata. L’arte si trova in un ghetto? In un recente convegno a San Marino, si è discusso ampiamente su tali problematiche, è emersa una situazione abbastanza precaria, orientata nel solo senso del mercato, sorretta da una giovane critica “a-critica” e con esperienze artistiche “a-problematiche” senza nessun spessore creativo, come li definisce C. G-. Argan. Una situazione in cui ai grandi collezionisti di un tempo, che erano studiosi e anche autentici conoscitori d’arte, si sono sostituiti i nuovi interlocutori, persino ferrovieri, che influenzati e assuefatti a certe riviste d’arte credono che l’arte sia il lavoro discutibile di certi artisti alla moda. Naturalmente, il nostro Giancarlo Politi, editore e critico come lui stesso si definisce,confessa di aver avuto l’ardua responsabilità delle scelte”non occasionali” in questi 25 anni, con le relative virate e cambiamenti di rotta quando ha avvertito che l’arte e il pensiero nell’arte si muovevano verso nuove direzioni. Mi chiedo: Quali direzioni? Sono forse quelle intraprese da Ontani, Salvo, Koons, Delvoye o di certi giovani artisti come: Montesano, Zanichelli, Cattelan, Di Matteo. Mimmo Paladino, da autentico sconosciuto, nel lontano 1966 dichiarava: “Se l’artista non la smetterà di chiamarsi artista, di recludersi in una galleria con tanto di etichetta e di vendere i suoi prodotti a cifre inaccessibili,’e inutile che parli di comunicazione” (Dichiarazione apparsa per la prima volta cu Linea Sud n° 3-4 del Febbraio 1966, e poi pubblicata nel libro “Poiesis” di E.Giannì, nel 1986) Purtroppo, oggi, l’arte da fatto privato e diventata fenomeno di massa, oggetto di investimento e di speculazione. L’artista da emarginato o bohèmien si è trasformato in un artista imprenditore che guarda con un occhio all’opera e con l’altro al portafoglio. Di fronte a questo autentico e inaspettato “terremoto di valori”, alcuni critici hanno intuito la possibilità di gestire e determinare nuove situazioni e soprattutto, diventare parte attiva del processo di trasformazione e di creazione. Così, la critica “creativa” ha cavalcato l’arte in diverse direzioni, attingendo dall’avanguardia storica a piene mani e facendo passare certe trovate per cose nuove. In questo “caos di idee”, Achille Bonito Oliva si chiede: Perchè gli artisti non si suicidano più? Perché hanno capito, finalmente, che in questa “saga della banalità” non è più’indispensabile uccidersi, dal momento che si può morire in modo sicuro per castrazione o per costrizione, per eutanasia creativa o semplicemente per collasso culturale.

Pubblicato su  Dialogo  n°121 - marzo/aprile,  1992   Anno XV         pag. 29