giovedì 18 novembre 2010

Il DIBATTITO: DENTRO E FUORI L'AVANGUARDIA



SIGNOR CRITICO  POSSO CRITICARE?
(La critica d'arte, dentro e fuori l'avanguardia)
di Giovanni Bonanno





-  Quando la Pop con un paf fa tonf

Come ogni estate ci capita di visitare rassegne “soft”dedicate ad un pubblico sempre più. distratto. Il leghista Philippe Daverio, gallerista e ora assessore alla cultura del Comune di Milano ha deciso di riaprire i battenti del Pac (Padiglione di Arte contemporanea), dopo tre anni dall’attentateto che lo aveva distrutto il 27 luglio 1993, dedicando un “Omaggio a Leo Castelli”, ovvero agli artisti che il gallerista italiano di nascita ma newyorkese di adozione ha lanciato e sostenuto in circa 50 anni di attività. In arte, in questi ultimi decenni, si sono avuti situazioni sempre più imprevedibili; la Pop Art, l’Optical Art, l’Arte Povera, il Concettuale, l’Ipperrealismo fino alle ultime preposte di oggi che riprendono e ripetono modi e percorsi di questo recente passato. Leo Castelli, nella sua galleria di Soho a New York, aperta nel 1957, ha trovato il modo di accogliere tanti artisti,da James Rosenquist a Claes Oldenburg, da Rauschenberg a Frank Stella, da Jasper Johns a Andy Warhol, da Flavin a Joseph Kosuth. Le 43 opere di venti artisti americani offrono un panorama. assai interessante della storia artistica degli ultimi trent’anni in America. Vengono esposte opere come le famose scatolette “Brillo”Andy Warhol, le “Two Flags” di Jasper Johns, i “Diplomat” di Robert Rauschenberg, fino alle “Untitled” di Dan Flavin create nel I975. Secondo il curatore, si è voluto organizzare una mostra che da un lato servisse a fare il punto su quella svolta storica avvenuta nel 64 con la Pop Art alla Biennale di Venezia, e dall’altro il tentativo da parte del Pac di “divenire” una finestra aperta sul mondo”, come afferma Lucia Matino, conservatore alle raccolte d’arte per il Comune di Milano. Il Pac, secondo Leo Castelli, sembra un ottimo spazio che può sicuramente diventare competitivo per chi volesse esporre delle opere. Alla domanda “qual è lo stato di salute dell’arte.”, Leo Castelli ha confermato quello che noi da tempo pensavamo: ”in questo momento non vedo novità, non ci sono nuove correnti, per lo meno che rivestano un qualche interesse -aggiungendo- forse stiamo vivendo un ciclo discendente. Chissà, magari è perchè deve cambiare la maniera di fare arte”. E’ come se gli artisti oggi, faticassero a trovare una nuova strada espressiva e un nuovo modo di fare arte.-Lo sguardo indefinito dell’Arte. In questi ultimi tempi abbiamo visitato diverse rassegne tutte incentrate sulla giovane situazione dell’arte contemporanea,come per esempio, quella di Rivoli, dal titolo:“Soggetto/Soggetto”,curata da Giorgio Verzotti e Francesca Pasini, in cui si cerca di analizzare l‘arte come modalità specifica di interrogarsi sul mondo, con esperienze che vanno dall’installazione al video e al computer. Gli artisti presenti a questa mostra, come Gabriel Croczo, Cesare Viel, Maurizio Cattelan, Liliana Moro, Tommaso Tozzi, Federica Tiene , lavorano attorno ai concetti di identità, e diversità, con soluzioni immaginative di basso valore artistico, miscelando il fascino tecnologico con l’indifferenza ed il pretesto. Lavori anche ansiosi, ma poco significativi rispetto a11’indagine che la mostra tenta di analizzare. A Madrid, abbiamo visto la rassegna “Cocido Y Crudo” al Centro Reina Sofia; quasi “un Aperto 95”, organizzata dal giovane e discusso critico Dan Cameron, con circa 50 giovani presenze di quasi tutto il pianeta che propongono le ultime e aggiornate proposte di ricerca. E’ proprio dal .neo-concettualismo che Dan Cameron attinge per formulare tali ipotesi. Il giovane critico è convinto che ogni paese, nonostante le informazioni in tempo reale , conserva. una propria arte legata allo specifico luogo territoriale. Secondo Gillo Dorfles: “purtroppo si tratta di un’ancora che affonda nella melma del dejà vù concettuale, del bricolage oggettuale e del mirabolante tecnologico”. Ipotesi fragili , come de] resto abbiamo più volte evidenziato; vedi le proposte “calde e fredde” formulate da Renato Barilli. Ormai c’è chi la vuole cotta e chi la vuole cruda. Per noi, troppo caldo significa rivisto e rifatto e ci piacerebbe vedere un po’ di crudo, di originario che non riusciamo a scovare. Ritroviamo, ancora, il già visto delle ultime situazioni, i soliti artisti come Wim Delvoye, Stefano Arienti, Kiki Smith. Si chiede Dorfles: ”dov’è finita la pittura? Qui solo oggetti, frantumi, meccanismi inutili, fantasmi elettronici utilizzati nelle dubbie invenzioni cyberspaziali per trabocchetti illusionistici”. Sicchè -conferma Dorfles-“siamo sempre allo stesso scoglio: voler scavalcare i cadaveri esangui di pittura e scultura senza sapere come sostituirli o come resuscitarli”. Del resto, anche la figurazione non è che navighi in buone acque. Possiamo dedurlo facilmente dalla visita al Castello d Rivoli, a Torino. Una mostra incentrata su due artisti: Francis Bacon che rappresenta il recente passato della pittura e una novizia olandese, Marlene Dumas, classe 1953, che rappresenta il presente. Il lavoro della Dumas è di matrice baconiana ridotta a figurazione “neo-concettuale a tempo parziale”, come ama definirsi la stessa artista. Alla Dumas viene riconosciuta una certa inventiva nella scelta dei titoli, che dovrebbero indicare in quale direzione orientare la visione del dipinto Tuttavia, crediamo che l’arte non è solo titolo e programma, ma rivelazione e visione lucida. Abbiamo la sensazione, che da questo confronto ne venga fuori una Dumas massacrata e stritolata dalla forza visionaria del grande Bacon. Questa e la stessa sensazione che abbiamo provato vedendo le opere dell‘ artista olandese alla 46ª Biennale di Venezia.

Pubblicato su  Dialogo  n°144 - settembre/ottobre, 1996  Anno XIX         pag. 25