giovedì 18 novembre 2010

Il DIBATTITO: DENTRO E FUORI L'AVANGUARDIA


SIGNOR CRITICO  POSSO CRITICARE?
(La critica d'arte, dentro e fuori l'avanguardia)
di Giovanni Bonanno



- L’ arte di confine: due artisti a confronto

Sono sempre più convinto che la tecnoscienza prima o poi ci strangolerà, ingoierà tutto. Sicuramente stiamo distruggendo il pianeta e ci stiamo avviando a sondare un futuro pieno di incognite, per niente tranquillo. Infatti, l’uomo non si rende conto che distruggendo la natura in nome del progresso, del consumiamo e dello spreco programmato, distruggerà anche se stesso. Porse in un futuro prossimo, gli unici abitatori del pianeta terra saranno le formiche e i topi che prenderanno definitivamente il posto dell‘uomo. Il futuro, quindi, sarà una catasta di logori relitti, a meno che venga riscoperto e propugnato uno spirito umanistico con un sentimento morale nei confronti della natura e delle sue straordinarie possibilità. Oggi, purtroppo, la sfida ambientale coincide con la nostra stessa esistenza; siamo in piena situazione “ post-ecologica “.Solo artisti come Ruggero Maggi e Gabriele Jardini hanno il coraggio di porsi tali problemi di vitale importanza, interessati a scandagliare l’essenza “vera” del reale. Sono i nuovi ”primitivi post-industriali che vivono una dimensione tecnologica, che meglio si potrebbe chiamare di “confine”, per la maggiore difficoltà che abbiamo a accostarci alla natura, ormai annullata da una civiltà poco intelligente, che distrugge tutto. Sicuramente nello spazio-tempo della vita di un uomo, la natura è la misura della sua coscienza e della sua sensibilità. Sia R. Maggi che G. Jardini sono coscienti della triste situazione dell’uomo senza futuro; si nota lo sforzo di convivere con la tecnologia (Maggi) o tentare di instaurare un ipotetico dialogo con la natura (Jardini), quasi una rivitalizzazione dei materiali naturali o artificiali , raccolti e riproposti in una dimensione “altra”. Ruggero Maggi lavora sui materiali trovati, che colloca dentro “scatole cinesi” che diventano custodie di memorie urbane, come abbiamo visto recentemente nella mostra personale alla Banca Mercantile Italiana,a Milano. Pierre Restany, presentando il lavoro di R. Maggi, scrive: “Siamo in una società post-industriale dunque in una società che non ha superato di fatto lo stadio industriale, anzi ne è satura, e totalmente satura di industrie. In questa società, è necessario reinventare il rapporto fra l’uomo e la macchina. Ridefinire questo rapporto implica creare le condizioni giuste e vere di un “dialogo. E’ proprio nel cuore di. questo dialogo che si inserisce la ricerca linguistica di R. Maggi. Infatti, l’artista si interroga sulla natura che non può più rappresentare, tutt’al più la ricrea per frammenti di materia naturale e artificiale. Per comprendere gli ultimi lavori, bisogna conoscere l’operazione “museo in casa” del 1980, in cui proponeva la “casa” svuotata da ogni mobile e suppellettile, dichiarando che era uno spazio quasi riabilitato al ruolo di Museo d’arte. Proprio da questa operazione, derivano gli ultimi lavori che accolgono frammenti di realtà, raccolti e conservati “amorevolmente” dentro scrigni, rivitalizzati da un neon di luce industriale o da un laser tecnologico. Maggi, si affida ad una dialettica elementare e primaria che va. a confrontare con la tecnologia e la sofisticazione; accostando il neon ai materiali primari li de-materializza e li concettualizza (l’arco della luna del 1975). L’artista metropolitano, ha bisogno di recuperare i frammenti del reale e di immetterli nel circuito della memoria, così facendo, la scatola diventa il luogo che archivia e conserva i dati raccolti, quasi una dimora della sopravvivenza. Questa immissione di elementi naturali e artificiali, in un rapporto continuo di intensa “interferenza”dove gli elementi naturali (il legno, la pietra, il fossile) convivono con elementi tecnologici (tubi al neon, plexiglass, laser), creano uno strano sincronismo emozionale che diventa “cortocircuito” ad alta frequenza. Quello che crea Maggi è un universo privato che viene messo in vista, desideroso di essere conosciuto e che l’artista “generosamente” esibisce. Al tecnologico e urbano Maggi, che incarna la “perdita della natura” si contrappone il nomade Gabriele Jardini, artista solitario che vive a Gerenzano, paese tristemente noto perchè ospita una delle discariche più grandi d’Italia e forse d’Europa. Gabriele Jardini sembra di aver bisogno di uno spazio reale che possa accogliere i materiali “naturali” trovati, che diventano presenze casuali piene di mistero. Jardini, da buon missionario, si dedica ai “cicli precari della natura”, in particolare a operare con performances solitari dentro una natura mortificata, creando situazioni nuove, nel tentativo di rinsaldare un eventuale colloquio. Da autentico ambientalista manipola i materiali rinvenuti nel paesaggio e crea installazioni che si innestano e si integrano dentro la natura che diventa in definitiva l’arena dell’evento. Egli utilizza i materiali più umili: neve, ramoscelli, fiori, pietre, fragole di bosco, per comporre i suoi interventi “volutamente provvisori”. Sembra che il giovane artista varesino, tentando di evocare un senso di meraviglia e di mistero voglia far emergere le forze creatrici della natura. Per rendersi conto di tutto ciò, basta osservare l’opera eseguita alla fine del 1991, in cui ha utilizzato alcuni rami e steli di foglie di robinia che ha immesso dentro la natura, in attesa che la galaverna si depositi sullo strano totem, a fasciarlo, a caricano di energia e forse a proteggerlo. Quelle di Jandini, sono forme che hanno “urgente bisogno” di integrarsi direttamente nel paesaggio, nel tentativo di ristabilire un ordine e un equilibrio perduto. Sono accadimenti magici, che vivono l’attimo fuggente, il momento immediato. Lo scopo essenziale di Jardini è di “ricaricare” la natura, rivitalizzarla, farla pulsare di energia. Uno strano senso di stupore affiora negli ultimi lavori pieni di fascino e di meraviglia, che l’occhio avido della macchina fotografica registra. Un misterioso “apparire” che si scioglie nel fantastico e vive con il suo non essere.

Pubblicato su  Dialogo  n°122 - maggio/giugno,  1992   Anno XV         pag. 25