giovedì 18 novembre 2010

Il DIBATTITO: DENTRO E FUORI L'AVANGUARDIA


SIGNOR CRITICO  POSSO CRITICARE?
(La critica d'arte, dentro e fuori l'avanguardia)
di Giovanni Bonanno


- Quale identità ?
Viviamo in una situazione molto difficile dove gli spostamenti, le comunicazioni in tempo reale, la televisione, assieme a tanti altri fattori hanno cancellato l’identità di ognuno di noi. Spesso cambiamo l’identità di ciò che siano a seconda, del contesto in cui ci troviamo, utilizzando gli stessi gesti e lo stesso linguaggio, forse per paura di essere emarginati; abbiamo paura di apparire “diversi” dagli altri e quindi guardiamo l’altro” nel tentativo di essere “l’altro”. In questo confronto vi è il bisogno di ridisegnare i contorni dell’io, l’io e l’altro sono continuamente coinvolti in un processo di definizione e ridefinizione. L’alterità significa confronto tra l’io e l’altro e ci suggerisce somiglianza, differenza e modo di stabilizzare un’identità. Inoltre è anche la capacità di cambiare, di attraversare i confini certi e diventare “altro”.Con l’alterità si creano nuovi confini, ma anche nuovi limiti. L’assimilazione è un’altra struttura dell’alterità, in cui si tende a eliminare la distinzione e la diversità in un processo in base al quale l’alterità dell’altro (o la nostra), viene chiamata ad uniformarsi. Per certi versi,l’uomo contemporaneo perpetua i concetti di assimilazione, di somiglianza e di diversità. Tuttavia, “essere” significa non uniformarsi a nessuno; non desiderare di raggiungere la somiglianza in alcuna cosa che sai fa. L’uomo potrà tentare di superare i suoi limiti e le sue certezze ma, non dovrà perdere la coscienza di sé, del suo “io personale” e la conoscenza e la differenza “dell’altro”. Il giovane artista Sammy Cucher, ha presentato recentemente una serie di lavori alla 46 a Biennale di Venezia, incentrati sulla perdita dell’identità dell’uomo contemporaneo. Precisamente, si è interessato a definire una visione alternativa, un nuovo immaginario narcisista. In una società carica di profondi cambiamenti culturali, sociali e politici, segnata dall’alterità e dai nuovi modi nella costruzione dell’io, i consueti concetti tradizionali vengono ripetutamente smantellati e sostituiti da nuove e provvisorie percezioni e dal nuovo modo di relazionarsi con l’io; non più l’immagine di come siamo, ma come possiamo “diventare” sostituendo all’immagine di se stesso quella riflessa e appetibile dell’”altro”. Cucher, da bravo analista, mette l’uomo a nudo di fronte a se stesso, al suo specchio culturale e sociale, facendo intendere come la tecnologia odierna abbia sconvolto definitivamente in nostro io. Con ciò non vuole rappresentare l’io come registrazione del bello, bensì come possibilità per accedere ad un livello più profondo di conoscenza. Dopo i lavori incentrati sul “Doppio autoritratto”, con l’ultima serie “Distopia” realizzata in collaborazione con Anthony Aziz,l’artista tenta di definire un modello di rappresentazione, molto più espressivo, in cui le fattezze esteriori e gli orifizi degli occhi, del naso e della bocca sono state eliminate digitalmente. Ne vengono fuori esseri profondamente mutati, senza genitali, cioè senza una loro chiara identità sessuale e, che sembrano caricaturare ironicamente la società del futuro; esseri caratterizzati da certi stereotipi della società attuale, imposti attraverso la pubblicità e gli strumenti di persuasione occulta. Il lavoro di Cucher è il promemoria della fragilità psicologica dell’uomo moderno: il ritratto abbandona la similitudine, la ripetitività e la somiglianza della copia reale per divenire presa di coscienza e di conoscenza di un’io che non riesce a definirsi e a consolidarsi in forme più stabili. Di certo, queste apparizioni precarie e negate smantellano i luoghi comuni e i modelli certi della pseudo-identità. La dissoluzione della nozione d’identità viene esibita nel tentativo estremo di recupero dell’unità persa, come l’unica condizione possibile per trovare se stesso. L’emozione alla vista di questi lavori è molto forte, nonostante l’evidenza fotografica dell’immagini, dandoci un certo fastidio nel sentirci smarriti e indifesi, forse perché siamo costretti a scrutarci allo specchio del nostro “io impersonale”,che definisce un’identità anonima, sterilizzata,ma perfettamente aderente alla precarietà di come siamo diventati.