mercoledì 17 novembre 2010

DIBATTITO: DENTRO E FUORI L'AVANGUARDIA


Lo sguardo in-definito dell’arte

In questi ultimi tempi abbiamo visitato diverse rassegne tutte incentrate sulla giovane situazione dell’arte contemporanea, come per esempio, quella di Rivoli, dal titolo: “Soggetto/Soggetto”, curata da Giorgio Verzotti e Francesca Pasini, in cui si cerca di analizzare l’arte come modalità specifica di interrogarsi sul mondo, con esperienze che vanno dall’installazione al video e al computer. Gli artisti presenti a questa mostra, come Gabriel Oroczo, Cesare Viel, Maurizio Cattelan, Liliana Moro, Tommaso Tozzi, Federica Tiene, lavorano attorno ai concetti di identità e diversità, con soluzioni immaginative di basso valore artistico, miscelando il fascino tecnologico con l’indifferenza ed il pretesto. Lavori anche ansiosi, ma poco significativi rispetto all’indagine che la mostra tenta di analizzare. A Madrid abbiamo visto la rassegna “Cocido Y crudo” al Centro Reina Sofia, organizzata dal giovane e discusso critico Dan Cameron, con circa 50 giovani presenze di quasi tutto il pianeta. E’ proprio dal Neo-concettualismo che Dan Cameron attinge per formulare tali ipotesi. Il giovane critico è convinto che ogni paese, nonostante le informazioni in tempo reale, conserva una propria arte legata allo specifico luogo territoriale. Secondo Gillo Dorfles  ”purtroppo si tratta di un’ancora che affonda nella melma del “dejà vù” concettuale, del bricolage oggettuale e del mirabolante tecnologico”. Ipotesi fragili, come del resto abbiamo più volte evidenziato; vedi le proposte “calde e fredde” formulate recentemente da Renato Barilli. Ormai C’è chi  la vuole cotta e chi la vuole cruda. Per noi, troppo caldo significa rivisto e rifatto e ci piacerebbe vedere un po’ di crudo, di originale che non riusciamo a scovare. Ritroviamo, ancora, il già visto delle ultime situazioni, i soliti artisti come Wim Delvoye, Stefano Arienti, Kiki Smith. Si chiede Dorfles: ” dove è finita la pittura? Qui solo oggetti, frantumi, meccanismi inutili, fantasmi elettronici utilizzati nelle dubbie invenzioni cyber-spaziali per trabocchetti illusionistici”. Sicché – conferma Dorfles – “ siamo sempre allo stesso scoglio: voler scavalcare i cadaveri esangui di “pittura” e “scultura” senza sapere come sostituirli o come resuscitarli”. Del resto, anche la figurazione non è che navighi in buone acque. Possiamo dedurlo facilmente dalla visita al castello di Rivoli a Torino. Una mostra incentrata su due artisti: Francis Bacon che rappresenta il recente passato della pittura e una novizia olandese, Marlene Dumas, classe 1953, che rappresenta il presente.  Il lavoro di Dumas è di matrice baconiana ridotta a figurazione “neo-concettuale a tempo parziale”, come ama definirsi la stessa artista. Alla Dumas viene riconosciuta una certa inventiva ella scelta dei titoli, che dovrebbero indicare in quale direzione orientare la visione del dipinto. Tuttavia, crediamo che l’arte non è solo titolo e programma, ma rivelazione e visione lucida. Abbiamo la sensazione che da questo confronto ne venga fuori una Dumas “massacrata”  e stritolata dalla forza visionaria del grande Bacon. Questa è la stessa sensazione che abbiamo provato vedendo le opere dell’artista olandese alla 46^ Biennale di Venezia.

Pubblicato su  Dialogo  n° 141  - marzo/aprile,  1996     Anno XIX            pag. 24