sabato 13 novembre 2010

L'INTERVISTA: Francesco Somaini

LA PARTE DELL'OMBRA
(gli artisti si confessano).
di GIOVANNI BONANNO



L'intervista allo scultore Francesco Somaini :“Vivo dove il niente  è anche il mondo”
L‘intervista si riferisce a un incontro tra lo scultore Francesco Somaini e Giovanni Bonanno, nello studio di Lomazzo, in provincia di Como.



Giovanni Bonanno: maestro, lei a nove anni aveva già scolpito le sue prime sculture di tipo impressionista, erano le prime prove di un bambino che aveva un bisogno incontenibile di fare arte,di comunicare,di esternare il proprio pensiero creativo. Se non ricordo male, dopo il liceo si trovò obbligato dai suoi genitori a seguire un corso universitario e a laurearsi......

Francesco Somaini: io avevo la “vocazione” di fare lo scultore e, contro la volontà della mia famiglia,alla fine, lo scultore l’ho fatto lo stesso. Ero il maggiore di cinque fratelli, vengo da una famiglia in cui si laureavano tutti, in quei tempi mio padre era molto preoccupato del mio futuro così, terminato il liceo, per accontentare i miei genitori decisi di seguir la facoltà di legge dove non ero obbligato alla frequenza. Pertanto, facevo contemporaneamente due cose; studiavo legge a Pavia,non andando a seguire le lezioni e frequentavo assiduamente il corso di scultura di Giacomo Manzù a Brera. Ho scelto Giurisprudenza per il solo motivo che mi permetteva di non essere presente alle lezioni e di dare gli esami. Infatti, mi sono laureato.


G. B.: Iniziare a nove anni a fare le prime opere, ì primi ritratti, doveva essere un’esigenza forte, una vocazione immediata.....


F. S.: Precoce e fortissima. Io non ho mai avuto il dubbio di fare lo scultore, non ho mai tentato la strada di fare l’avvocato. Forse a nove anni, pensavo che fare lo scultore fosse stato più facile di quello che poi si è rivelato oggi a 65 anni; è molto problematica l’attività dello scultore negli anni ottanta-novanta, con tutti i movimenti moderni, con questa diaspora di idee.

G. B.: Cosa pensa dell’arte di avanguardia?

F. S.: Io non rifiuto l’avanguardia. L’avanguardia mi incuriosisce, in genere non esprimo un giudizio negativo a priori. Alcuni movimenti di “ricerca” come la Land art, per esempio, hanno avuto un’influenza sul mio lavoro, per cui lascio aperta questa possibilità, perchè credo che quando un movimento artistico nasce, se anche il prodotto che ne viene fuori non è definito, non è quello auspicato, nasce perchè ci sono delle esigenze che sono importanti, pertanto vanno considerate; magari non accettate le conclusioni, ma senz’altro esplorate le motivazioni di fondo.

G. B.: Nel 1948, a 22 anni nascono i primi crani di cavallo, dove si sente l’influenza di Picasso, poi sorge l’interesse per vari artisti, come Brancusi, Arp, Boccioni e Pevsner. Tra gli artisti suoi maestri di un tempo, quali considera ancora vicini a lei?

F. S.: i veri maestri miei , dal momento in cui nasco come scultore sono, sicuramente, Boccioni e Pevsner.

G. B.: Lavorare a Lomazzo, in provincia, in uno stato di cosciente isolamento è stimolante o crea qualche difficoltà?

F. S.: Lomazzo non l’ho scelto, ci sono nato. Ho costruito,piano piano, lo studio in un terreno che era di mio padre. Lomazzo è un paese “inesistente” sotto il profilo culturale, però è comodamente situato accanto ad una autostrada e una ferrovia chè quasi una metropolitana. Per cui c’è la possibilità di arrivare a Milano quasi nello stesso tempo di una persona che sta in periferia di Milano e deve arrivare in centro. Del resto gli scultori, se vivono a Milano; scultori che abbiano le mie esigenze di pensiero, di fare sculture di grandi dimensioni, devono per forza andare in zone industriali nell’estrema periferia. Io ho quasi 600 metri quadrati coperti e uno spazio attorno al mio studio di circa 5.000 M. Q., Con queste esigenze, se vivessi a Milano, non potrei essere che nell’estrema periferia vicino a Bollate o in qualche zona limitrofa.

G. B.: Però, sempre isolato dalla grande metropoli.....

F. S.: L’isolamento è il male dello scultore,che ha tanta artigianalità e manualità rispetto al pittore, per cui la sua giornata viene consumata non solo in opere creative, ma a seguire tutte le varie fasi esecutive di un ‘opera. Uno scultore che lavora come me, realizzando opere di grandi dimensioni direttamente nel mio studio, ha bisogno di farsi aiutare da qualche opera:io o allievo, e di gestire il lavoro nel modo più perfetto possibile. Alla fine, l’opera è mia, non solo l’idea di fondo, ma anche l’esecuzione stessa dell’opera, la superficie, la pelle di una scultura,come quella di 54 tonnellate, alta 10 metri, che ho fatto recentemente per Menaggio, in provincia di Como, è tutta mia. Allora si capisce che non si pùò andare alle inaugurazioni, non si può sentire le varie conferenze, proprio perchè la parte manuale e artigiana assorbe totalmente il tempo che uno scultore ha a disposizione.

G. B.: Lomazzo, sotto il profilo culturale è un’isola vergine che coincide con il niente.....

F. S.: Lomazzo, essendo niente,”il niente è anche il mondo”. Da qualche parte uno deve stare,se questo luogo ha una sua cultura che può coincidere con una città murata, si rischia di trovarsi prigioniero di un ambiente.A Lomazzo,non esistendo l’ambiente, i miei riferimenti sono quelle mostre che vado a vedere in Germania, negli Stati Uniti o in qualche altra parte del mondo.

G. B.: Io sono convinto che un grande artista come lei, che ha una visione personale del mondo e una creatività così forte, ha bisogno di. lavorare in modo intelligente, soprattutto in silenzio, in questa isola ch’è Lomazzo, non frastornato dalle ripetute “trovate”, a volte banali, della cultura ufficiale che continualmente ci prospetta “situazioni nuove”, che nuove non sono.

Pubblicato su  Dialogo  n°120 - gennaio/febbraio,  1992  Anno XV         pag. 31