sabato 13 novembre 2010

LA CRITICA: Jorrit Tornquist

(Dentro e Fuori l'Avanguardia)
di G. Bonanno

Saggi critici e recensioni su: Kengiro Azuma, Francis Bacon, Paolo Barrile, Carlo Carrà, Marc Chagall, Jean Dubuffet, Franco Francese, Antonio Freiles, Max Huber, Gabriele Jardini, Osvaldo Licini, Ruggero Maggi , Kazimir Malevic, Mattia Moreni, Idetoshi Nagasawa, Emil Nolde, Mimmo Paladino, Pino Pascali, Mario Raciti, Roberto Sanesi, Francesco Somaini, Chaim Soutine, Graham Sutherland, Jorrit Tornquist, Willy Varlin, Wols.



-Jorrit Tornquist: La parte dell’occhio
Si è conclusa da poco la mostra personale di Jorrit Tornquist alla Galleria Arte Struktura di Milano, con una serie di opere che vanno dal 1959 al 1994. Praticamente 35 anni di intensa e sofferta ricerca tesa ad indagare sul versante inoggettivo della visione e a definire “la pelle delle cose”, sviluppando interessanti analogie e similitudini con l’organico e il mondo naturale Nato a Graz nel 1938, ma milanese di adozione, dopo aver studiato architettura al Politecnico di Graz, nel 59 si è dedicato completamente allo studio scientifico del colore, per approdare ad una nuova pittura dove la reazione percettiva e emotiva del fruitore assume un ruolo fondamentale e prioritario. L’utilizzo rigoroso dei materiali e la sapiente conoscenza dei meccanismi della percezione ha consentito all’artista austriaco di definire una rappresentazione percettiva”molto mutevole”che vive dentro il flusso impalpabile del colore per divenire spazio e essenza immateriale . Nel 76 scriveva: “vivere è sentire la vita dentro se stessi; è essere coinvolti in un incessante susseguirsi di processi, di fenomeni, di mutamenti dove l’ininterrotta continuità del trasformare e del trasformarsi consente di vivere sensazioni”. Tornquist, negli ultimi anni ha ripreso, con più vigore le ricerche sviluppate precedentemente incentrate soprattutto sul comportamento percettivo. Di certo lo studio dei meccanismi interni che generano e regolano la percezione gli ha fornito gli stimoli e anche i mezzi indispensabili per creare insolite ‘trappole visive” non perfettamente definite, e nell’incertezza, creare una partecipazione più attiva e emotiva all’evento poetico.

Pubblicato su  Dialogo  n°132 - marzo/aprile, 1994  Anno XVII         pag. 23