SIGNOR CRITICO POSSO CRITICARE?
(La critica d'arte, dentro e fuori l'avanguardia)
di Giovanni Bonanno
(La critica d'arte, dentro e fuori l'avanguardia)
di Giovanni Bonanno
- Scusi, lei è un maiale?
La cultura è stata, da sempre, oggetto d’interesse da parte della politica. Oggi, con la lottizzazione della Biennale di Venezia e della Quadriennale di Roma è aumentata la contestazione verso quei rappresentanti di partiti e sindacati, che per tanto tempo hanno gestito la cultura in Italia. Nonostante la voglia di cambiamento e di giustizia sociale, alcuni “personaggi eccellenti” continuano imperturbati a gestire la cosa pubblica programmando rassegne che non sono altro che duplicati di cose viste nel circuito delle gallerie private. Questa situazione era ben visibile nelle proposte “settoriali” di Achille Bonito Oliva alla Biennale di Venezia dello scorso anno. Nella suddetta rassegna internazionale non tutte le ricerche erano egualmente rappresentate, anzi, si cercava volutamente di mettere nel calderone pubblico tutte le trovate immaginabili, integrate da alcuni lavori storici di Fontana o di Burri, proprio per dare “sostanza” alla rassegna generale che altrimenti diveniva ‘sciatta e di nessun stimolo culturale. Era logico che dopo Barilli a Bologna, il caro “Achille” doveva ripetersi alla grande, proponendo tutto ciò che di nuovo e di strano c’è nelle arti visive. Purtroppo, navighiamo senza stimoli e senza una meta certa, nonostante le contorte e misere ipotesi del suddetto critico, che arriva persino a paragonarsi “a un maiale”. Secondo Oliva: “il maiale ha con la materia un rapporto di necessità. Ma il rapporto di necessità è selezionato dallo sguardo di un occhio a feritoia che corrisponde per taglio ad una sorta di capacità di selezionare la realtà che gli appare intorno. Nella sua compatta plasticità il maiale possiede anche una forma estremamente articolata e imprevedibile:una coda a spirale, elegante, elemento che gli permette, seppur alle spalle,di penetrare nella realtà”. Da qui la teoria “dello sguardo del maiale”, di quell’animale che il critico, secondo A.B.O., deve imitare per stabilire un rapporto di conoscenza con la materia del mondo. La suddetta rassegna come le altre proposte di Oliva non risponde affatto a criteri obiettivi di critica libera e non condizionata. A nostro avviso A.B.O. ha peccato il suo limite perchè concepisce l’arte come qualcosa che non ha più senso e valore:”bisogna seppellire gli artisti con tutte le loro opere per evitare problemi di conservazione”. Così, dopo dieci anni di dittatura transavanguardista, Oliva si accinge a congelare con le sue nuove teorie il sistema dell’arte per un altro decennio. Secondo lui, la rassegna di Venezia voleva esprimere tra le diverse culture in riposta al frazionamento che oggi viviamo al limite delle lotte tribali, dichiarando anche: “ho voluto esaltare più i1 valore dei singoli, la transinternazionalità, con la conseguente contaminazione così viva e feconda dell’originario concetto di nazionalità”. Lo stato d’animo di questi ultimi anni, secondo tali proposte vaga tragicamente tra l’apatia e la più profonda depressione. La colpa la dobbiamo attribuire ai nuovi sistemi di comunicazione e soprattutto alla tivù che ha appiattito irreparabilmente il globo riducendo le diverse culture ad un monologo tutto eguale. Da dove ricominciare? Sicuramente dal recupero della coscienza storica. In un’epoca dominata fortemente dalla pubblicità, dalla moda e dai finti bisogni consumistici, tutto diventa terribilmente inutile e forviante. L’arte non sa più da che parte dirigersi, versa in uno stato confusionale. Per un critico non è un buon metodo inseguire le continue proposte “a la page che un certo sistema pseudo-culturale e mercantile ci propone nella presunzione di interpretare la società. Ormai c’è chi concepisce l’attività del critico come riflessione sull’arte e quindi rivendica una funzione critica intrinseca o addirittura precedente allo stesso fatto creativo, chi vuole ridurre il valore dell’opera a mera merce di scambio e chi vuole omologare le diversità della cultura ad un livello di basso contenuto culturale. E’ tale la “confusione” in cui operiamo che gli studiosi hanno il dovere di parlare chiaro; si tratta di mantenere un certo impegno e nello stesso tempo una certa distanza. Come giustamente afferma Flavio Caroli: ”se molta critica avesse dimostrato la lucidità necessaria, l’arte non avrebbe nell’armadio i molti cadaveri che si aggirano nella nostra testa”. La critica deve saper valutare il peso delle singole personalità, quindi ha precisi doveri di chiarezza verso il pubblico. Essa può esistere solo se riesce a trovare l’autonomia di ciò che è poetico e creativo. Purtroppo l’intervento critico, oggi, viene strumentalizzato a fini biecamente utilitaristici per cui la libertà diventa impedimento e costrizione. C’è persino chi arriva ad impossessarsi di un testo critico non suo, per poi riutilizzarlo ai propri fini personali. Che dire? Di certo ad una cultura cosiddetta colta vi è una pseudo-cultura che dal basso non rimedia agli equivoci fin qui prospettati. Una critica che non desidera utilizzare la propria libertà creativa non è degna di esistere. L’intellettuale deve riflettere attentamente e leggere in profondità le varie situazioni personali, non affidandosi alla sola sensazione come se fosse l’unica possibile e non dimenticando le finalità vere del suo lavoro. Quella di oggi è una realtà assai complessa che ha bisogno di strumenti precisi. Senza la fantasia e l’esame attento di ciò che ci circonda, l’intellettuale è destinato a morire. Questo è il destino di chi non utilizza a dovere la libertà e nella”confusione” riduce tutto in cenere.
Pubblicato su Dialogo n°134 - settembre/ottobre, 1994 Anno XVII pag. 25
Pubblicato su Dialogo n°134 - settembre/ottobre, 1994 Anno XVII pag. 25