sabato 13 novembre 2010

LA CRITICA: Max Huber

(Dentro e Fuori l'Avanguardia)
di G. Bonanno

Saggi critici e recensioni su: Kengiro Azuma, Francis Bacon, Paolo Barrile, Carlo Carrà, Marc Chagall, Jean Dubuffet, Franco Francese, Antonio Freiles, Max Huber, Gabriele Jardini, Osvaldo Licini, Ruggero Maggi , Kazimir Malevic, Mattia Moreni, Idetoshi Nagasawa, Emil Nolde, Mimmo Paladino, Pino Pascali, Mario Raciti, Roberto Sanesi, Francesco Somaini, Chaim Soutine, Graham Sutherland, Jorrit Tornquist, Willy Varlin, Wols.



-Max Huber: La pittura formato Max
Il Museo d’arte di Mendrisio, al decimo anno di attività, dopo diverse mostre di grande qualità (Arp, Klee, issier,Tobey e Braque), finalmente organizza una mostra retrospettiva dedicata a Max Huber, pittore, con circa 150 opere tra disegni, pastelli,gonache e collage. Con questa mostra si tenta di far conoscere l’attività pittorica di Max Huber, sicuramente meno nota da quella di grande grafico internazionale. Nato a Baar nel 1919, i suoi interessi si sono subito indirizzati verso il campo grafico,la fotografia e la pittura , che rimangono per tutti i 50 anni di attività in stretta connessione e in costante sviluppo. Max inizia l’attività pittorica giovanissimo (1935), con esperienze figurative prettamente accademiche.Entra subito in contatto con artisti di grande interesse culturale come Max Bill, Bruno Munari, Luigi Veronesi. Tuttavia, dal 1941 al 1943 lavora sulla figurazione realistica e sull’astrazione geometrica, quasi come un bisogno incontenibile di abilità e invenzione, di sapienza tecnica e voglia di ricerca. Verso il 1943-1944 realizza alcune opere come “Utopia” e “Aviation”, in cui frammenti figurativi di realtà, di timbro surrealista (la chiocciola, il pipistrello,il teschio,l’aeroplano,la carriola), vengono ad interferire con geometrie elementari elaborate precedentemente, in una sorta di continua osmosi.Huber, da autentico grafico, lavora sul metodo progettuale, come del resto fanno i suoi amici Max Bill o Moholy-Nagy; non fa differenze tra figurazione e geometria, tra lavoro grafico e esecuzione pittorica. Non si pone problemi a fare contemporaneamente pittura figurativa e astrazione; non si spaventa all’idea di assemblare residui di realtà con geometrie allo stato embrionale. L’unico desiderio che ha il giovane Max è capire subito “che fare”; deve per forza far interagire le due facce della stessa medaglia e trovare una soluzione. Sicuramente la situazione di riflessione temporanea, gli serve a Huber per capire la vera direttrice del suo lavoro futuro, infatti, dopo il 1945, il lavoro si fa chiaro, definito, lucido; incomincia a realizzare composizioni con semplici geometrie in movimento, con colori primari e secondari sospesi su fondali monocromi, per poi approdare a risultati sempre più convincenti, elaborando una ricerca personale di grande intensità e consolidando, sempre più, una sua precisa collocazione nel panorama artistico contemporaneo. Negli ultimi anni, il lavoro di Max si fa ancora più complesso; alla struttura bidimensionale chiaramente a prospettica, contrappone una strutturazione ortogonale di verticali e orizzontali, con una sorta di occultamento della superficie, una suddivisione del piano dell’opera a tasselli, una scansione tonale dove il colore si fa luce, (sviluppo di un colore puro ad un altro traverso una scala di diverse tinte intermedie). Quelle che elabora Huber sono forme inoggettive di colore, che sembrano sospese e costrette a galleggiare nello spazio della superficie, in un frenetico movimento di elementi, che con leggerezza si modificano all’interno del campo visivo. Una visione che rifiuta la dimensione statica e la forma definita delle cose, che preferisce vivere una fase transitoria, momentanea, tutta impregnata di “immaterialità lievitante” che dilaga secondo una logica progettuale, che si fa spazio, luce e senso di rappresentazione.

Pubblicato su Dialogo  n°117 - luglio/agosto,  1991  Anno XIV         pag. 25